Milano, cinque e mezzo di un pomeriggio che si va facendo sempre più buio, tra gocce di pioggia che iniziano a cadere insistenti e aria fredda che taglia la faccia.

Abbandono la macchina nei pressi dell’Arena Civica e percorro una Via Bramante che non ricordavo così cupa: poca gente a passeggio, negozi tutti uguali con esposti capi d’abbigliamento di chissà quale fattura, capannelli di ragazzi attorno ad un portatile acceso accanto alla cassa, luci al neon che regalano un non so che di opprimente e una sensazione di immobilità che la fa da padrona.

Tiro dritto, cercando di accelerare il passo. Via Paolo Sarpi arriva poco dopo e le cose migliorano: la gente è più numerosa e i visi appaiono più distesi. Mi oriento alla ricerca del civico numero 6. Bastano pochi passi: eccolo.

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Mi presento, ritiro l’accredito, mi stringo nelle spalle colpito dal brivido di una goccia di pioggia che supera la barriera della mia sciarpa e, come per magia, l’inquietudine scompare. Al suo posto luci psichedeliche, mura bianchissime rese ancora più abbaglianti dalle lampade che le illuminano a giorno, lampadari color porpora che penzolano dal soffitto, musica a palla, un muro impenetrabile di gente, balconate in modalità “tutto esaurito”, un maxischermo e, al centro della sala, il cuore dell’evento e la ragione principale del mio essere qui.

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Red Bull MiniDrome: un anello in legno lungo 25 metri, curve paraboliche altissime, due linee (una rossa più interna e una blu molto più esterna) indicano i margini della pista e un cronometro a far bella mostra di sé proprio al centro della struttura. Arrivo a qualifiche ancora in corso ma, più che riuscire a seguire, tento di indovinare ciò che succede aiutato dai proclami entusiasti di due speaker che, gasati a palla, coinvolgono il pubblico chiedendogli di ruggire e di mostrare il proprio calore.

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In pista c’è un ragazzo francese: Florence Feuillas. Indossa una canotta rossa piuttosto malridotta, un casco a scodella e dei pantaloni lunghi color caki. Inizia a riscaldarsi e pedala forte, fortissimo. Ha un’espressione divertita e tutt’altro che preoccupata: vuole entrare nei 32 che si sfideranno nei duelli uno contro uno che caratterizzeranno la finale e inizia a darci dentro, sin dai giri di riscaldamento.

Pedala, ma sembra quasi danzare: è concentrato, fluido, convinto. Appare preda di un ritmo ipnotico fatto di accelerazioni, paraboliche prese in alto e chiuse in basso e sembra un tutt’uno con la bici. Guarda fisso in avanti coi muscoli tesi allo spasimo e gira accompagnato dal rumore pazzesco dei suoi copertoni che cercano il grip e dalle assi di legno che rimbombano di un suono cupo.

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Attorno a me sono tutti col fiato sospeso: le bocche spalancate, l’adrenalina inizia a circolare, la gente si alza sulla punta dei piedi per vedere meglio e una rabbiosissima “Come with me” di Puff Daddy fa ciondolare più di una testa al ritmo incalzante dei bassi. Tutto in poco più di trenta secondi: qualificazione centrata e la sensazione, netta, che il SarpiSei sia un catino ribollente e pronto ad esplodere.

Caldo, improvviso. Via la sciarpa, via il cappellino, giubbotto sbottonato e occhi che si guardano intorno.

Dovunque mi volti vedo bicchieri di birra, barbe lunghe e scolpite, baffi anni 50, pantaloni stretti e zazzere compresse sotto berretti da ciclista anni 70 e che, ribelli, sbucano fuori a incorniciare visi di ragazzini con la pelle bianchissima.

I francesi indossano bermuda di jeans col risvolto, i tatuaggi la fanno da padrone, un recinto accoglie le bici e uno stand della Cinelli attira i visitatori a pochi passi dall’ingresso.

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Parte Fontana, bronzo “senza sella” di Londra 2012 e guest star della serata: maglietta viola, casco xc, bici vintage con barra manubrio larga e grinta da vendere. Gira, si qualifica, si diverte e alla fine vola via oltre il rettilineo, salvato dai materassini e vittima di una distrazione di troppo.

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Salgo in balconata in attesa delle finali e riesco a trovare un angolino accanto a una spotlight che mi incenerisce. Da quassù la visuale è unica e il legno della pista sembra assumere colorazioni violacee. Iniziano le finali, il teatro è pieno da far paura. Sensazioni che si rincorrono: adrenalina che sale alle stelle quando le sfide sono tirate e boati di delusione quando il “no contest” appare subito evidente dopo nemmeno mezzo giro.

Cadute a profusione, alcune divertenti, altre molto più spaventose: la tensione della gara inizia ad annebbiare più di un riflesso. La più brutta è quella di un concorrente magro e allapanato. T-shirt grigia, pelle bianchissima e un accenno di peluria ad incorniciare labbra e, anche se posticci, il manubrio. Volo pauroso: il rider si rialza ma barcolla come un pugile suonato.

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“La ragazzina contro Schillirò?”
“Non ha senso…”

I ragazzi accanto a me discutono con supponenza e accennano con delusione al prossimo abbinamento: in pista uno dei più quotati rider italiani e quella che, a prima vista nonostante l’ottimo tempo di qualificazione del mattino, non sembra altro che una vittima sacrificale. E invece la ragazzina stupisce tutti, curva dopo curva e giro dopo giro. Non solo non perde nulla, ma guadagna e quasi lo riprende. Ha due occhi da tigre e si lascia andare solo alla fine.

Fontana esce agli ottavi, cadendo nuovamente a fine run: avventura finita.

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Le sfide si susseguono a ritmo serrato col pubblico ormai impazzito. Non c’è più respiro, nessun giro di riscaldamento a disposizione, solo cuore e gambe. Tutto o niente in pochi giri.

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La finale è tra il lettone Toms Albsberg e il francese Charlie Conord. Il primo è esile maglia nera e pantaloni lunghi, il secondo molto più massiccio, scarpe giallo fluo, canotta e i polpacci che tradiscono il suo passato di pistard. Partono e il pubblico li accompagna: girano, sembrano vicini, di nuovo si allontanano, appaiono sfiniti e poi, sul suono della campana, danno tutto ciò che hanno in corpo per l’ultimo sprint.

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Finita, vince la Lettonia. Attorno tutto impazzisce tra luci sempre più sincopate e la chitarra inconfondibile di Angus Young degli AC/DC nella loro travolgente “Thunderstruck”.

Premiazioni, pacche sulle spalle, saluti nocca contro nocca, abbracci e spumante sparato verso un pubblico ebbro di gioia. Salto anche io, quasi non rendendomene conto.

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Quando esco anche Via Bramante sembra più luminosa: evidentemente si è divertita anche lei. Che serata!

Credit BiciLive.it
Testo di Massimiliano Lamberti
Foto di Matteo Cappè
Video di Pietro Baraggi

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