Le opere di restauro e le parole di questo appassionato veneto ci hanno particolarmente colpito, quindi gli abbiamo fatto qualche domanda sulla passione per la bici e su come la porta avanti

Già, passione, perché non è il suo lavoro, a dispetto della qualità della creazioni: usa il tempo libero e i fine settimana, nel suo silenzioso garage, immerso negli attrezzi, nei componenti, nella cura del dettaglio e nella ricerca: sì, perché dietro il restauro di ogni sua bici c’è uno studio cromatico e di componentistica non comune a tutti i restauratori di bici “appassionati da garage”.

Restauro o Restyling?

Restyling, parto da qui. Dietro ogni restyling c’è anche – e per forza – un restauro, nel senso che quando lavori con telai e componenti degli anni ‘70 e ‘80, devi prima sistemarli, aggiustarli, pulirli, lucidarli, verniciarli. Ma nella mia officina mi dedico soprattutto al restyling: cioè metto assieme vari puzzle per arrivare ad una bici particolare, in base a quello che ho in mente o allo stile di chi la pedalerà. Restyling, mi piace quello, sebbene il restauro conservativo sia stupendo e necessario quando trovi la bici tutta originale, solo mal messa.

Se trovi una Bianchi del ’60 non puoi smembrarla, devi restaurarla.

 

Quanto tempo ti serve per restaurare/restylizzare una bici?

Sicuramente non un giorno! Ci sto dietro tanto: design, abbinamento dei colori, accoppiamento di telaio e componentistica, scelta dello stile, con qualche tocco di carattere ogni volta. Alla fine ci metto circa tre mesi, a causa dei pochi giorni al mese che ci lavoro e per la verniciatura che mi porta via un mese e mezzo. Il lavoro di meccanica richiede parecchi altri giorni, e la ricerca dei pezzi non è prevedibile! Anche perché fin quando non trovo il pezzo che dico io la bici sta ferma. Ricordo il restyling della mia “Freccia”: ero arrivato alla fine, ma i freni che avevo non ci stavano bene. Sono passati circa 40 giorni prima che trovassi i suoi, quelli che volevo io in base al design della bici. Nel caso specifico dei fantastici freni Campagnolo Victory.

Adatti il lavoro “work in progress” o hai subito tutto ben chiaro?

Le idee mi vengono quasi tutte all’inizio, prima di partire: è opportuno scegliere subito la strada da seguire, lo stile da dare alla bici. Ok, strada facendo puoi cambiare questo o quel particolare, ma devi decidere subito che “tipo” di bici sarà. L’errore più grande è quello di voler “mettere” dentro la bici troppe cose. No, la bici deve essere quella, non può essere tutto.

Che pezzi scegliere?

Il bello è usare tutti pezzi realmente vintage: devo muovermi tra mercatini, con il passaparola tra appassionati e soprattutto devo saper buttare l’occhio al posto giusto quando entro da un meccanico. Quando tratti vintage, devi avere sempre una cerchia di amici-appassionati che scambiano in continuazione di tutto e di più. È fondamentale: i pezzi che maneggio non li compri in negozio. Scelgo in base al mio gusto, non tutto il vintage mi piace. Però compro pezzi anche quando li trovo e vedo che vale la pena prenderli per metterli nel cassetto, aspettando che venga il momento di montarli nella bici giusta. Nei miei cassetti ho molti componenti fermi lì da mesi o anni.

Ogni tanto li guardo perché li ho presi solo perché sono bellissimi: con la certezza che prima o poi verrà la bici giusta per loro.

Come viene l’ispirazione?

Ogni cosa che vedo mi può suggerire come disegnare la prossima bici: il colore di un’auto (è stato così per la mia “Cherry”), il look di un collega molto british style (vedi la mia “Darcy”). Tutto può essere fonte di ispirazione. Deve essere così! La mia Officina è una specie di grotta dove mi metto lì e ascolto la radio e lavoro in silenzio, e le idee si susseguono una via l’altra.

La qualità del restauro delle tue bici è davvero alta, si riesce a fare tutto da soli?

I lavori di meccanica sicuramente sì, ho solo il mio meccanico-maestro che mi ha insegnato a lavorare e con il quale mi confronto sempre quando ho dubbi o intoppi. Ogni settimana vado a trovarlo e sto lì con lui e lo guardo lavorare sulle bici. Una cosa che faccio sempre, prima di andare in verniciatura, è il controllo del telaio: lo porto da Massimo Faggin che controlla i tubi, eventuali punti di ruggine, ma soprattutto l’allineamento. Per il resto mi arrangio: con i cataloghi Campagnolo dal 1950 ad oggi, con le chiacchierate interminabili tra appassionati su questo o quel pezzo. È il modo più bello per imparare a conoscere. E ogni volta che vedo una bici che merita, anche legata ad un palo, mi avvicino e guardo i dettagli. La verniciatura, professionale, non la faccio io, e mentre aspetto il telaio mi occupo della pulitura e lucidatura (e della ricerca, ovviamente) dei componenti. Consiglio una cosa a chi vuole provare: non dovete fare tutto da soli. Ci sono cose che necessitano attrezzi e competenze.

Non c’è nulla di male ad affidare al meccanico queste azioni. Voi farete tutto il resto, la soddisfazione è garantita lo stesso.

Ma chi è Ciclico?

Ciclico è tutto questo: “io” che nel tempo libero mi dedico alle bici per farle a gusto mio, non per soldi. Sono prima di tutto un appassionato di bici da corsa, il mio sport principale. E prima di Ciclico viene il mio lavoro vero e proprio, nel mondo dell’editoria. Ho iniziato a lavorare sui restauri di bici tre anni fa e l’ho fatto perché mi piacciono le bici belle, tutto qui. Il “provaci” è nato guardando i siti internet di altri ragazzi che fanno questi lavori, ce ne sono tanti e alcuni sono bravissimi. E mi sono poi innamorato delle bici francesi anni ’50, ’60 e ’70, le Alex Singer e le René Herse. Per me sono stratosferiche.

Ciclico, al secolo Leonardo Ragusa, con le sue bici si è tolto anche qualche soddisfazione non da poco. Brooks England ha pubblicato sul blog ufficiale le foto di “Darcy”, il libro “Campagnolo: il mito” dove sono state inserite varie foto di bici made in Ciclico (spesso equipaggiate con componentistica della Casa veneta).

 Cosa significa per te il processo di restauro?

Io ho paura sempre di fare cavolate o di sbagliare. Di non essere “capace di”. Ecco, quando avvito l’ultimo bullone e mi allontano di tre metri per vedere la bici finita, quel momento è rassicurante e ti arriva il sorriso, come quando facevi un esame all’università e il prof ti firmava il libretto. La vera felicità. Quando ho il telaio fisso sul cavalletto e nel bancone tutti i componenti in fila, puliti e pronti ad essere montati, ogni pezzo mi dà gioia quando lo monto.

Il bello è quando il lavoro che fai ti mostra come una cosa sporca e rovinata può tornare bella e lucida.

E finalmente ecco qualcuna delle sue creazioni! Non dimenticatevi di fare un giro sul suo bel sito ciclico.it, realizzato dall’amico Matteo Avanzi: chiaro esempio di quando passione e dedizione portino a risultati davvero di livello!

…complimenti!