Sconti e guerra dei prezzi: il mercato delle bici su una china pericolosa? Marco Lomonaco 14 Giugno 2021 Bike News Sconti sul prezzo di acquisto: una materia tanto semplice nei suoi concetti di base quanto complicata nelle sue implicazioni sia a livello di dinamiche interne di mercato, sia a livello di prospettive future. Quello degli sconti è un tema che genera sempre molto conflitto, questo perché è chiaro anche solo intuitivamente che gli interessi delle parti in causa spingono tutti in direzioni diverse. Ma andiamo ora ad approfondire meglio tutti gli aspetti e le problematiche legate agli sconti sulle biciclette (elettriche o muscolari non fa differenza). Solo una premessa: parliamo in questo frangente solo degli sconti applicati e/o richiesti sul prodotto finito, quindi sulla bicicletta completa che deve andare sul mercato. La dinamica di base: in che direzione vanno gli sconti? Abbiamo 3 diversi livelli su cui si snoda il problema: i clienti finali, i negozianti e i produttori di bici. Partiamo dai clienti, che sono il nodo più facile da sciogliere: il loro interesse generale è quello di avere più possibile pagandolo il meno possibile. Si trovano quindi a chiedere sconti ai negozianti e, aspetto importante da sottolineare (capiremo meglio poi perché), lo sconto ottenuto è una variabile rilevante al fine di decidere quale prodotto acquistare e attraverso quale canale (quale brand, quale modello, negozio fisico, online, ecc.). Al lato opposto della scala abbiamo i produttori, che hanno da una parte l’interesse a concedere ai negozianti meno sconti possibile per fatturare di più, tuttavia al contempo gli sconti sono uno strumento per vendere di più (pensiamo agli sconti per grossi quantitativi di merce). Nel mezzo abbiamo i negozianti che vivono entrambe le logiche appena espresse, perché da una parte indossano i panni dei venditori (per i clienti), evidenziando le due dinamiche già citate per i produttori (ridurre gli sconti per fatturare di più, ma aumentarli per vendere di più); dall’altra parte, però, sono a loro volta clienti (per i produttori) e quindi hanno interesse a richiedere e ottenere più sconto possibile. Cos’è il margine, il dato attorno a cui ruota tutto? Semplificando quel tanto che basta i concetti al fine di comprendere la dinamica di cui parliamo, per capire quanto un’operazione sia vantaggiosa bisogna sempre aver chiare due variabili: il prezzo di vendita e i costi sostenuti per arrivare a quella vendita (che comprendono il costo di acquisto della merce, i servizi erogati e tutta un’altra serie di voci “da spalmare” sulle vendite). La differenza tra il prezzo di vendita e i costi è il margine e rappresenta quanto si guadagna da una data operazione (ignorando le voci calcolate a valle come le tasse che non sono argomento di questo articolo). Per i produttori, lo sconto riduce il prezzo di vendita. Meno prezzo di vendita vuol dire meno margine. Ma minor prezzo di vendita vuol dire (anche se non per forza) più vendite. Quindi bisogna trovare un equilibrio tra la riduzione del margine e l’aumento delle vendite, in modo che il margine totale (di tutte le operazioni fatte) sia al massimo possibile. Per i negozianti, lo sconto che ottengono dai produttori riduce i costi (quindi aumenta il margine), mentre lo sconto che fanno ai clienti riduce il prezzo di vendita. Anche qui vale lo stesso principio del trovare un equilibrio tra prezzo di vendita e numero di vendite. I clienti non devono marginare sull’operazione, quindi sono solo interessati a pagare il meno possibile. Ora chiariamo due punti: 1 – Gli sconti sono un’opportunità, è chiaro, sono un’ottima leva commerciale per chiudere delle vendite e acquisire clienti. 2 – Il margine va preservato perché è ciò che permette alle attività di restare aperte, sopravvivere, investire, fornire servizi. Senza un margine sufficiente, le attività chiudono (e quindi addio a tutti i servizi che fornivano, ma ci arriviamo tra poco). È intuitivo che il punto è quello di trovare un equilibrio tra tutti questi fattori che permetta ai diversi tipi di attori di sopravvivere e prosperare. E allora perché, se la soluzione sembra tanto facile da poter essere intuita al volo, il problema persiste e la questione sconti continua ad acuire le difficoltà di molte attività? Dove sono i problemi veri? Come anticipato, lo sconto di per sé non è il problema. Al contrario, è un’opportunità commerciale. Il problema è la logica che nasce quando si applica senza criterio la “cultura dello sconto” e va visto sotto due punti di vista: uno dato dall’approccio del cliente al prodotto e uno dal modello di competizione tra brand e venditori. Il cliente che decide solo (o quasi) in base al prezzo e quindi in base allo sconto che può ottenere, è quasi sempre un cliente poco educato al valore e alle caratteristiche del bene che sta acquistando. Il processo decisionale basato sul prezzo è caratteristica comune della scelta tra prodotti che vengono percepiti come sostanzialmente indifferenziati. A questo punto è chiaro che se per me uno vale l’altro, prenderò quello che mi costa meno. Questo non vuol dire che un cliente educato comprerà per forza prodotti più costosi: ci sono anche clienti che consciamente sanno di non aver bisogno del prodotto premium ma che va loro bene anche quello entry level. Resta però un fatto che il cliente educato al valore di quello che sta acquistando è mediamente disposto a spendere di più e, cosa più importante, comincia a differenziare per prodotto e non (solo) per prezzo. Poi la comunicazione del valore aggiunto dei prodotti si può fare in molti modi, noi in Moma Studio lo sappiamo bene, gestiamo campagne di comunicazione per brand con approcci molto diversi ma accomunate tutte dal focus sull’educare il cliente proprio al valore aggiunto (e ai valori posizionanti del brand, se vuoi saperne di più abbiamo creato una video lezione gratuita su questi temi). È l’unico modo per garantire a un prodotto di venire percepito come diverso dagli altri e di non essere messo sullo stesso piano. La scelta non è più tra un prodotto A e uno B a mio giudizio uguali e che quindi dovrebbero costare uguali, ma tra due prodotti molto diversi, in cui A ha perfettamente senso che costi più di B perché magari ha molte caratteristiche migliori, migliore assistenza, un più alto valore di rivendita dell’usato, mi dà uno status migliore e via dicendo. Questi esempi dovrebbero chiarire la logica sottesa a questo fenomeno a livello di prodotto. Passiamo ora invece al livello del mercato, con la competizione tra reti vendita/negozi. Il discorso non è troppo diverso da quello che abbiamo appena fatto per i prodotti, con poche ma sostanziali differenze. Anche i negozianti sono a propria volta dei brand e possono fornire dei servizi che possono differenziarli da tutti gli altri. Pensiamo, per esempio, a un negozio che punta molto sulla cosiddetta “expertise“: i clienti sanno che se vanno lì magari pagano le bici qualcosina in più, ma l’esperienza del personale è un valore aggiunto perché sanno che usciranno dal negozio esattamente con la bici di cui hanno bisogno (non sbagliare l’acquisto è un valore aggiunto per il cliente). Oppure ancora pensiamo a un negozio che eroga servizi corollari come messa in sella, assistenza, cambio gomme, revisione motore (per le ebike), il biomeccanico per effettuare le regolazioni perfette sulla bici e via dicendo. È chiaro che tutte queste operazioni hanno un costo per il negozio, ma hanno anche un valore aggiunto per il cliente, quindi se ben comunicate giustificano un prezzo più alto. La chiave di volta non è solo avere o erogare questi servizi ma comunicarli nella maniera più corretta per fare in modo che assumano il giusto valore nel processo decisionale del cliente. Se non si fa tutto questo, succede esattamente quello che dicevamo prima: i diversi negozianti verranno messi più o meno sullo stesso piano e quindi quale sarà l’unica variabile grazie alla quale il cliente deciderà dove comprare? Esatto, il prezzo. Quali sono le conseguenze? Questo è presto detto: la conseguenza inevitabile di una logica come quella appena esposta è che si finisce in un contesto di guerra dei prezzi. La guerra dei prezzi è una corsa al ribasso sul prezzo di vendita, in modo da ottenere un vantaggio rispetto agli altri e accaparrarsi più clienti. È quello che dicevamo prima sugli sconti: si abbassa un po’ il margine sulla singola vendita per avere più vendite e portare a casa un margine totale maggiore sul totale delle operazioni. Il problema è che i tuoi competitor possono abbassare a loro volta il prezzo, così poi tu abbasserai di nuovo, e poi ancora di nuovo anche loro… Se ricordi il discorso su prezzo di vendita e di costo che abbiamo fatto prima (prezzo di vendita – costo = margine), abbiamo appena visto cosa succede se tutti abbassano il prezzo di vendita fino ad arrivare al valore del costo, vale a dire che il margine scende a zero. E senza margine non ti metti in tasca nulla e la tua attività chiude. La situazione però è anche peggio di così, perché non tutti hanno gli stessi costi. È intuitivo che le grosse catene, la GDO (grande distribuzione organizzata) e le altre grandi realtà hanno costi più bassi perché comprano di più e ottengono più sconto dai produttori. Quindi no, la guerra dei prezzi non si gioca ad armi pari. Chi ha i costi più bassi vince sempre la guerra dei prezzi, perché può abbassare di più il prezzo di vendita mantenendo del margine di guadagno (non entriamo nella logica che le realtà grosse a volte possono anche vendere sottocosto per “ammazzare” la concorrenza in regime di guerra dei prezzi, però può succedere). Questo ci porta a un’ultima considerazione: se tutti i negozi singoli chiudono in favore delle grandi catene, chi ci guadagna? Di sicuro non i negozianti, che ormai hanno chiuso. Di sicuro non i produttori: meno presidi di mercato ci sono e meno potere contrattuale hanno, perché per vendere devono comunque rivolgersi a quelle 2-3-4 catene che poi hanno il coltello dalla parte del manico. Di sicuro non i clienti, che vedono svanire dal mercato un capitale di conoscenza e passione enorme, che a posteriori tutti capiscono che aveva un valore per cui forse valeva la pena spendere qualche euro in più. Conclusioni Non ci giriamo intorno: per evitare certi scenari bisogna comunicare, sempre di più e sempre meglio. A tutti i livelli. Ci vuole più comunicazione e coordinamento tra la rete vendita e i produttori: accordarsi sulla politica commerciale (prezzi, strategie, sconti massimi) al fine di evitare inefficienze e che qualcuno possa innescare una corsa al ribasso dei prezzi. Ci vuole più comunicazione tra brand e clienti, per comunicare il valore aggiunto ed educare chi acquista al valore del prodotto (e magari educare i negozianti alla stessa cosa, così che possano comunicare il prodotto al meglio). Ci vuole più comunicazione tra i negozianti e i clienti, perché tutti noi del settore sappiamo che in negozio si trova (o si dovrebbe trovare) un valore aggiunto che vale il prezzo (esperienza, consigli, ma anche servizi corollari e, importantissimo, il rapporto umano), ma questi aspetti ci devono essere realmente e vanno comunicati con efficacia. I nostri sondaggi indicano che già una buona fetta di appassionati comprende alcuni di questi aspetti, quindi la base di partenza c’è già, ma non bisogna accontentarsi. Il pubblico generalista (che è quello più vasto) di questi temi ancora non sa nulla, è un’opportunità da cogliere. Se ti interessa capire come comunicare al meglio, abbiamo creato un webinar gratuito che ti darà gli strumenti per iniziare nella maniera più corretta e sicura. Puoi vederlo qui: https://youtu.be/W4OWsG80rwA