Materie prime, estrazione, disponibilità, impatto ambientale BiciLive.it 2 Maggio 2023 Bike News La bici di Gimondi aveva il telaio in acciaio, il nastro manubrio in cotone e la sella in pelle bovina. Tutti materiali naturali ed ecosostenibili. Oggi la bici del campionissimo Pogačar ha un telaio in fibra di carbonio, olio minerale per azionare i freni a disco idraulici e litio nelle batterie del cambio elettronico. Come in ogni settore, anche il mondo della bici è in continua evoluzione. L’ingegneria e le nuove tecnologie portano a soluzioni sempre più performanti e ogni evoluzione porta con sé la scoperta e l’utilizzo di nuovi materiali. Pensiamo alle solo bici elettriche: cosa c’è dentro una batteria? Se gli appassionati di bici da corsa sono soliti discutere al bar soppesando al grammo la quantità di composito di carbonio dei propri telai, con questo articolo vogliamo ampliare la nostra panoramica e conoscere più a fondo i nuovi materiali presenti nelle parti più tecnologiche delle bici a pedalata assistita. Non solo: vogliamo capire come funziona il ciclo di produzione delle suddette materie prime, dove vengono estratte, dove vengono lavorate, quali sono i loro costi e come l’economia (e nei prossimi articoli, anche l’ecologia) del settore sta cambiando in base al mutare della domanda e dell’offerta. Cosa c’è dentro una batteria Le batterie elettriche si dividono in tre grandi categorie in base alla loro composizione: 1) al piombo 2) al nichel-metallo-idruro 3) agli ioni di litio Le batterie al piombo sono state le prime a diffondersi sul mercato e ad essere utilizzate sulle bici elettriche, avevano un basso costo ma erano pesanti e ingombranti. Poi sono arrivate quelle al nichel-metallo-idruro: più leggere e performanti ma penalizzate dal fatto che si scaricavano in fretta e avevano l’effetto memoria, quindi era necessario aspettare che fossero quasi completamente scariche per ricaricarle. Ecco dunque che si è arrivati alle batterie agli ioni di litio, quelle attualmente più utilizzate dall’industria sia automobilistica che ciclistica. Una batteria agli ioni di litio è formata da un gruppo di cellule interconnesse tra loro capaci di accumulare energia. Ogni cella è composta da alcuni elementi fondamentali: un elettrodo negativo (detto anche anodo, fatto di grafite e con un collettore di rame), un elettrodo positivo (catodo), un separatore e un elettrolita. La composizione chimica del catodo può variare in base allo specifico tipo di batteria. Infatti, esistono almeno cinque categorie di batterie agli ioni di litio: – NCA – Litio, Nichel, Cobalto, Alluminio – NMC – Nichel, Manganese, Cobalto – LMO – Litio, Manganese, Ossido – LFP – Litio, Fosfato di ferro – LTO – Titanato di Litio – LCO – Litio e ossido di cobalto Le più usate per le bici attualmente sono le NMC al litio, nichel, manganese e cobalto. Quello che accomuna tutte queste batterie è il fatto di essere composte da materie prime che l’Unione Europea ha definito “critiche” in quanto essenziali per l’economia e perché, allo stesso tempo, sono scarse e presentano un elevato rischio di approvvigionamento. Queste materie sono litio, cobalto, grafite, gallio, vanadio, nichel e sono indispensabili per costruire batterie, celle a combustibile, turbine eoliche, pannelli fotovoltaici, microchip, fibre ottiche, energie rinnovabili. Dove vengono estratte le materie prime La criticità di approvvigionamento di queste materie prime è dovuta in parte anche al fatto che per molte di esse esistono dei veri e propri monopoli, per cui un solo stato detiene la quasi totalità di una determinata risorsa. Ad esempio, la Cina detiene il 98% della fornitura di terre rare, la Turchia possiede il 98% di borato; il Sud Africa da solo soddisfa il 71% della richiesta europea di platino. E ancora: il 78% del litio importato in UE proviene dal Cile e viene estratto dalle miniere del Salar di Atacama, luogo iconico per molti cicloviaggiatori. L’estrazione di cobalto si concentra per il 70% in Congo. Qui, nel 2008, un consorzio di società statali cinesi ha firmato un accordo con il governo nazionale per avere i diritti unici sullo sfruttamento delle sue miniere fino al 2033. In cambio ha investito 6 miliardi in infrastrutture. Il governo di Pechino ha stretto accordi commerciali un po’ ovunque. Oggi ha pieno controllo dei giacimenti di magnesio e tungsteno presenti sul territorio afgano, e anche di quelli di nichel presenti nelle Filippine e in Indonesia. Tutti questi accordi geopolitici hanno permesso alla Cina di diventare in breve tempo il primo paese produttore al mondo di celle di batterie. Il Benchmark Mineral Intelligenze, un’agenzia di reportistica sui prezzi regolamentata IOSCO con sede a Londra, stima che il 77% di tutte le celle vengano prodotte nel paese del dragone. L’Europa dipende dalla Cina al punto che attualmente le è impossibile competere. Anche se alcune batterie vengono assemblate in UE, le materie prime arrivano sempre dall’Asia. Un ritardo negli approvvigionamenti segna inevitabilmente il blocco di tutta la filiera, cosa che si è già verificata durante il lockdown e che potrebbe ripresentarsi in futuro. Come vengono lavorate le materie prime? Un altro aspetto da considerare riguardo alle materie prime critiche è legato alle modalità con cui vengono estratte. Se è vero che queste materie dovrebbero guidarci verso la transizione ecologica e digitale, non è altrettanto vero che l’attività di estrazione segua principi etici e sostenibili. In Congo ad esempio il cobalto è estratto da bambini che trascorrono anche più di dodici ore al giorno in miniera, lavorando a mani nude e senza mascherine né protezioni. Le loro condizioni di lavoro sono state già denunciate da Amnesty International nel rapporto intitolato “This is what we die for”. Il rapporto fu scritto nel 2014: allora si contavano già circa quarantamila bambini e la situazione non è cambiata. I bambini percepiscono salari da fame, rischiano ogni giorno incidenti sul lavoro a causa di carichi troppo pesanti, fino alla morte a causa dei frequenti crolli nelle grotte artigianali. Alcuni di loro si ammalano più dei loro coetanei e hanno i polmoni già compromessi in giovane età. Non è sostenibile nemmeno l’estrazione del litio in Cile. Qui il litio è presente nell’acqua dei laghi sotterranei che viene portata in superficie e fatta evaporare in grandi vasche. La soluzione ricavata viene trattata ulteriormente fino a quando il litio è pronto per essere utilizzato. Tutto il processo comporta un elevato utilizzo d’acqua. In Cile quasi il 65% delle riserve idriche nella regione del Salar de Atamaca, una delle aree desertiche più aride del mondo, è utilizzata per pompare salamoie da pozzi trivellati. Questo ha causato l’esaurimento e l’inquinamento delle acque sotterranee, influendo sul degrado ambientale e sulla contaminazione del suolo al punto che molti degli abitanti della regione sono stati costretti a emigrare. L’ultimo esempio che riportiamo (dei tanti che potremmo continuare a citare) è quello dell’estrazione delle terre rare in Cina. Il lago Baotou è un lago artificiale che sorge non lontano dalla città omonima, nella regione della Mongolia Interna; è stato creato appositamente per riversarvi dentro tutti gli scarichi prodotti dalle industrie presenti nell’area. Acciaierie, miniere di carbone e industrie di componenti elettronici preparano qui, in questa regione ricca di minerali, una grande quantità di materiali e di semilavorati necessari per produrre dispositivi tecnologici. La vicina città di Baotou è perennemente invasa da un nauseabondo odore di zolfo e la maggior parte dei suoi abitanti circola con mascherine per proteggersi dalle esalazioni. Tra gli elementi accantonati c’è il cerio, il cui ossido è tossico per la salute umana. La presenza media di questo elemento è di 60 milligrammi per chilo di terra. A Baotou si raggiunge la concentrazione di 24.000 milligrammi per chilo. L’incidenza di tumori nella zona è particolarmente alta. L’impennata della domanda Nonostante il quadro appena descritto, la nostra società non può fare a meno delle materie critiche e fatica a cambiare i processi di estrazione. Nel frattempo, la domanda aumenta a dismisura e aumenterà vertiginosamente nei prossimi due decenni. Il maxi pacchetto di misure ambientali “Fit for 55” approvato dalla Commissione Europea impone nuovi limiti alle emissioni nazionali di Co2 e, tra i vari punti, dispone che dal 2035 sarà consentito vendere soltanto veicoli a emissione zero. Per questo tutte le aziende automobilistiche si stanno già muovendo verso l’elettrico. La tedesca Volkswagen ha già investito 3 miliardi di euro nello sviluppo di motori elettrici sempre più performanti. Oggi in UE circolano 4 milioni di vetture elettriche e si conta che nel 2030 il loro numero salirà di sette volte toccando i 32 milioni. Maroš Šefčovič, vicepresidente per le Relazioni interistituzionali e le prospettive strategiche, ha parlato di una stima secondo la quale il fabbisogno di litio in Europa aumenterà fino a 18 volte entro il 2030 e fino a 60 volte entro il 2050. E il mercato della bici? La diffusione delle biciclette a pedalata assistita è già una realtà. Solo in Italia, nel 2020 sono state vendute 280.000 ebike (+44% rispetto al 2019). E nel primo semestre 2021, le bici elettriche vendute sono già state 157.000, superando del 12% il dato dello stesso periodo nel 2020. Su una prospettiva che considera gli ultimi cinque anni, il settore delle ebike ha quadruplicato le vendite. In Europa, da qui al 2030, si prevede che il mercato crescerà del +16% all’anno e si conta che nel 2030 il numero di bici elettriche vendute supererà quello delle bici muscolari: 57% contro il 43%. Nei prossimi vent’anni, da qui al 2040, la transizione ecologica e digitale porterà a un aumento di domanda di materie prime che viaggerà su valori a doppia o addirittura a tripla cifra percentuale. Secondo una stima di Iea (l’Agenzia Internazionale dell’Energia) descritta nel report “The Role of Critical Minerals in Clean Energy Transitions”, la domanda di minerali per le tecnologie energetiche pulite aumenterebbe di almeno quattro volte entro il 2040 per soddisfare gli obiettivi climatici fissati dall’Accordo di Parigi, con una crescita particolarmente elevata per i minerali legati ai veicoli elettrici. La domanda di minerali per lo sviluppo di veicoli e batterie elettriche crescerà di almeno trenta volte entro il 2040. In particolare, la domanda di litio crescerà di circa 40 volte, quella di grafite di 25, quella di cobalto di 21, quella di nichel di 19, quella di manganese di 8 e quella delle terre rare fino a 7 volte. Per fare un esempio numerico: se oggi il mercato chiede 22.000 tonnellate di litio, nel 2040 ne chiederà ben 904.000. Il cobalto passerà dalle attuali 21.000 tonnellate alle 455.000 tonnellate nel 2040. Il manganese passerà dalle 82 tonnellate attuali alle 664 nei prossimi vent’anni. L’impennata dei prezzi Ce la faremo ad estrarre così tante materie prime dalla terra? Questa è una delle sfide dei prossimi decenni. Nel frattempo, la domanda è tanta e l’offerta è poca e come insegna Adam Smith, in questi casi i prezzi salgono. Secondo il Benchmark Mineral Intellingence, una tonnellata di litio costava 6,12 dollari nel dicembre 2020 e ha raggiunto la cifra di 16,5 dollari lo scorso agosto, più del doppio. Soltanto quest’anno i costi del litio sono aumentati del 71% per il carbonato, del 91% per l’idrossido e del 58% per il concentrato di spodumene. In appena un anno, il rame ha registrato un aumento del prezzo del 115%, mentre il prezzo del cobalto è aumentato del 42%, raggiungendo un valore del 15% sopra la media quinquennale. Ma per questa materia prima la corsa al rialzo potrebbe essersi conclusa dicono gli analisti, poiché l’offerta di cobalto è ormai arrivata ad eccedere la domanda. BloombergNEF, un fornitore di ricerca strategica che copre i mercati globali delle materie prime, spiega che anche l’offerta di manganese è in ripresa ma il prezzo della materia prima in questo caso ha continuato ad aumentare (+30%) per cause legate alla logistica e al trasporto. Stessa sorte per la grafite. Si muove invece in controtendenza la valutazione del nichel. L’ultimo report di BloombergNEF evidenzia che i prezzi di questa materia prima stanno scendendo a causa della scelta di molti produttori di auto di passare a batterie di nuova generazione, realizzate con minor quantità del metallo. Altri dati importanti arrivano dal The London Metal Exchange, la borsa dei metalli non ferrosi più importante del mondo. Anche qui la quotazione sono al rialzo. Il prezzo delle leghe di alluminio è quello che ha avuto la crescita percentuale maggiore (+44%), mentre rame, nichel e zinco hanno registrato una crescita tra il +20% e il +30%. Il piombo si attesta a un +15%. Cause dell’aumento dei prezzi Ad aumentare la domanda è stato anche il “dopo lockdown”: tutte le aziende chiuse per tempo sono ripartite insieme. I loro magazzini erano vuoti, anche perché la maggior parte delle imprese oggi preferisce lavorare con un metodo di approvvigionamento “just in time”, per essere più efficienti e non accumulare scorte. Dopo mesi di attività in arretrato e una domanda arrivata contemporaneamente da più parti, i fornitori sono stati letteralmente sommersi dai nuovi ordini e il sistema è collassato. Ci sono anche altre cause che hanno contribuito all’aumento dei prezzi: geopolitiche, finanziarie, logistiche, climatiche e sociali. Delle cause geopolitiche abbiamo già accennato: la difficoltà di estrazione e di lavorazione delle materie prime unita all’esistenza di veri e propri monopoli hanno contribuito a fare lievitare le valutazioni del mercato. Le cause finanziarie sono invece legate agli interessi bassi sul denaro e a un dollaro debole: i due fattori hanno reso le materie prime un investimento conveniente e molti investitori le hanno addirittura preferite ai più tradizionali titoli di stato, il cui rendimento è sempre minore. E poi ci sono le cause logistiche. L’Organizzazione Marittima Internazionale aveva emesso già nel 2016 una direttiva che imponeva a tutte le navi, a partire dal 2020, di abbassare la quota di zolfo nell’olio combustibile passando da una percentuale del 3,5% allo 0,5%. E così nel precedente quadriennio si è verificata la rottamazione delle navi più vecchie e l’ammodernamento di altre: il costo sostenuto è stato scaricato sui prezzi del nolo. Il Baltic Dry Index (un indice dell’andamento dei costi del trasporto marittimo e dei noli delle principali categorie delle navi dry bulk cargo) ha registrato nell’ultimo anno un aumento del +605%. In risposta a questi aumenti, le aziende ora aspettano di avere tanti ordini e di riempire completamente un container prima di farsi spedire la merce: anche questo ha causato il ritardo nelle consegne di bici e componenti. Altre cause sono state di origine climatica: temperature record, siccità o freddi anomali hanno bloccato l’estrazione di alcuni materiali. È successo ad esempio in Usa, a seguito delle inattese gelate nel febbraio 2021. Di conseguenza, l’attività di molti petrolchimici venne sospesa per qualche settimana. Infine non bisogna dimenticare le cause sociali. Il mancato riciclo non permette di recuperare le materie prime dai nostri vecchi oggetti, costringendoci a ricorrere a continue e più costose estrazioni dal sottosuolo. Siamo diventati molto bravi a riciclare la carta e il vetro ma non i rifiuti elettronici, i cosiddetti RAEE (Rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettrodomestici). Tonnellate di computer finiscono ogni anno in discariche africane. Tanto meno siamo stati educati o abbiamo mai pensato di recuperare una batteria usata. Che invece sia possibile riciclare, ne è convinto l’European Institute of Innovation Tecnology Rawmaterials. L’istituto ha stimato che più del 50% del cobalto importato e utilizzato nelle nuove tecnologie potrebbe essere recuperato. E considerando che l’UE importa 40.000 tonnellate di cobalto ogni anno, i numeri sono presto fatti. Conseguenze sul mercato bici Domanda maggiore dell’offerta, prezzi che lievitano, mercato che impazzisce. E le fabbriche si fermano, non sempre e solo per il lockdown. A volte accade perché mancano i componenti con cui assemblare un prodotto. Se le consegne dai fornitori taiwanesi ritardano, tutta la filiera produttiva ne risente. Il caso più eclatante (seppure fuori dal mondo bici, ma riteniamo curioso citarlo) è stato quello della Playstation 5. Sony ha dovuto rinviarne più volte il lancio a causa dell’assenza dei semiconduttori. Il mondo della bici ha vissuto qualcosa di simile. Bici già pagate aspettano da un anno e più di essere consegnate ai propri acquirenti. Magari i telai sono già pronti, ma una volta mancano le ruote, un’altra volta il gruppo. E l’assemblaggio deve aspettare. Alcuni produttori di bici hanno cercato di muoversi in anticipo. È il caso dell’italiana Wilier Triestina. Andrea Gastaldello, presidente esecutivo, ha spiegato che la sua azienda ha investito budget importanti a lunga gittata per garantirsi grandi numeri di pezzi dai fornitori e fare in modo di essere tra le prime ad essere rifornita. Strategia efficace, ma che certamente può essere adottata solo da chi fa grandi numeri. Nel primo trimestre 2021 Wilier è riuscita ad aumentare il suo fatturato del +46% rispetto allo stesso periodo dell’anno prima, secondo i dati riportati da Il Sole 24ore. Non è andata altrettanto bene in casa Pinarello. La nuova Dogma F è stata presentata poco prima del Giro di Svizzera a giugno e ha vinto la sua prima corsa importante alle Olimpiadi di Tokyo con Richard Carapaz. Eppure il modello era stato disegnato ben 15 mesi prima, in pieno lockdown. Il motivo? Sempre i soliti problemi di consegna: a causa dei componenti mancanti e di ritardi nelle forniture è servito oltre un anno per arrivare all’assemblaggio completo. Fausto Pinarello allarga il problema e fa notare che in quel frangente si era verificata anche una penuria di carbonio, indispensabile per la produzione dei telai. Pinarello acquista le fibre in Giappone per poi produrre i telai monoscocca a Taiwan. Il sogno del produttore italiano è portare la produzione in Europa, ancora meglio se in Italia. Ma a guardare bene la realtà, ammette che è difficile. La tecnologia taiwanese è all’avanguardia e riprodurre gli stessi processi qui necessita di investimenti elevati, col rischio che nel frattempo l’Asia migliori ulteriormente le sue già ottime tecnologie. Se non ci riesce lui, chi altri potrà farcela? L’idea di spostare la produzione in Europa è comunque quella a cui stanno pensando la maggior parte dei brand più importanti del nostro continente. I costi di importazione del materiale sono aumentati fino a 10 volte (a causa del già citato rincaro dei container) e se si considera il rischio di rimanere con i magazzini vuoti, forse in un futuro prossimo decentrare tutto in Asia non sarà più conveniente come oggi. Il processo non è facile e nel frattempo l’industria italiana continua a dipendere per circa il 90% dalle importazioni. Format Research, un istituto di ricerche di mercato con sedi a Roma e Pordenone, ha stimato che, relativamente al mondo bici, il nostro paese importa dall’estero il 40% dell’alluminio, il 20% dell’acciaio, il 18% della fibra di carbonio, il 9% del titanio. Cosa potrebbe accadere in futuro? L’Europa ha già pensato a una strategia comune, almeno per quanto riguarda la transizione ecologica ed elettrica. La European Battery Alliance è stata fondata nell’ottobre 2017 con lo scopo di coordinare il piano europeo per creare una propria catena del valore di produzione di celle a batteria, competitiva e sostenibile. Il suo scopo è favorire l’attività estrattiva dei metalli presenti sul territorio europeo e portare l’Europa ad essere autosufficiente all’80% dal 2025. Qualcuno è scettico: secondo ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, mancano i tempi tecnici per entrare in produzione. Una miniera ha bisogno di almeno 20 anni per estrarre a pieno regime, la rivoluzione verde va fatta prima. E se anche si trovasse il modo di accelerare i tempi e risolvere la dipendenza dalla Cina, resta un problema di sostenibilità: aprire una miniera in Europa significa semplicemente cambiare il posto dove si inquina. Eclatante è il caso spagnolo di Caceres, città spagnola dell’Estremadura. Il sottosuolo della regione intorno alla quale sorge il centro abitato è ricco di litio e in passato il governo nazionale aveva appoggiato l’azienda privata Lithium Iberia a verificare la fattibilità dell’estrazione a cielo aperto. Erano già stati investiti 5 milioni di euro, ma a quel punto l’amministrazione locale si era fermamente opposta. Caceres vive di turismo e una miniera nelle sue vicinanze avrebbe significato farla diventare una zona piena di polvere e odori sgradevoli, senza sottovalutare gli effetti cancerogeni delle polveri sottili che restano sospese in aria. La soluzione è ricorrere a tecnologie estrattive diverse e avanzate. Un caso vincente è quello dell’impianto geotermico di Bruxa, nell’Alta Valle del Reno, attivo già dal 2010 per opera del Karlsruhe Institute of Technology, insieme alla società energetica pubblica. L’impianto funziona anche per l’estrazione di litio dal sottosuolo con un sistema altamente sostenibile per l’ambiente. Lavora tramite un materiale assorbente, l’ossido di manganese. Il materiale assorbente è come un formaggio svizzero: all’interno dei buchi vi si deposita il litio. Viene pompata una salamoia geotermica nel sottosuolo e si ricava calore per produrre energia elettrica. Come sottoprodotto, grazie all’ossido di magnesio, viene ricavato carbonato di litio. In soli tre minuti è possibile estrarre il litio necessario alla produzione di una batteria per le bici. Il processo è a circolo chiuso: non rilascia né liquidi né gas nell’ambiente. L’intero impianto è in grado di estrarre materiale per produrre duecentomila batterie per auto all’anno, volume che corrisponde a circa la metà delle batterie d’auto vendute in un anno in Germania. A livello europeo, un ruolo importante per guidare la transizione energetica in modo sostenibile è svolto da ERMA, l’European Raw Materials Alliance, nata il 3 settembre 2020. ERMA ha l’obiettivo di aumentare entro il 2030 la produzione di materie prime e avanzate sul territorio europeo e, contemporaneamente, vuole incentivare l’economia circolare promuovendo il recupero e il riciclo delle materie prime critiche, soprattutto il riciclo dei RAEE. In Italia abbiamo l’esempio di Erion, un’organizzazione senza fini di lucro creata dai produttori che nasce con lo scopo di assicurare la gestione ottimizzata e sicura dei processi di ritiro, trasporto e trattamento dei rifiuti associati ai prodotti elettronici, per l’ambiente e la collettività. Si tratta del più importante sistema italiano di Responsabilità Estesa del Produttore per la gestione dei rifiuti associati ai prodotti elettronici e la valorizzazione delle materie prime che li compongono. Sarà sufficiente estrarre in modo sostenibile e riciclare o servirà altro? Certamente anche lo sviluppo tecnologico darà un importante contributo in chiave ecologica. A breve (probabilmente già dal 2024) le future batterie al litio saranno allo stato solido (in quelle attuali, l’elettrolita di ogni cella è liquido). L’anodo invece sarà composto di sole particelle di litio (non sarà più impiegato il grafene) e avrà un volume minore. Questa compattezza permetterà di aumentare la densità energetica a parità di volume occupato da una batteria tradizionale: ovvero, nello stesso spazio si potranno immagazzinare molti più Wh o kWh, e tutto questo utilizzando meno materia prima, con batterie più piccole e più capaci. A proposito di nuove tecnologie, una la stiamo sviluppando proprio in Italia. L’azienda comasca Directa Plus, in collaborazione con l’americana NexTech, sta sviluppando una batteria in grafene e zolfo. La presenza di questi due materiali è in grado di migliorare la durata e l’efficienza del litio, risparmiando l’impiego di questa terra rara. Il grafene ha capacità conduttrici eccezionali, costa il 50% meno del litio e il suo rendimento energetico è da 3 a 5 volte superiore. Questo significa che le auto elettriche potrebbero arrivare a compiere fino a quasi mille chilometri con una ricarica. Ultimo dettaglio importante: le batterie future saranno anche più sicure perché meno infiammabili.