Mortalità stradale in Italia: non siamo un Paese per ciclisti Elvezio Sciallis 19 Giugno 2018 Bike News Campioni del mondo! Uno slogan che in alcune circostanze non fa per nulla piacere declamare ma, consultando i dati rilasciati dall’International Transport Forum, l’Italia è la prima in una classifica nella quale si vorrebbe sempre arrivare ultimi, ovvero quella del tasso di mortalità per i ciclisti. Sgomberiamo subito il campo da qualsiasi frainteso: la classifica non è calcolata su tutte le nazioni del mondo, ma il gruppo preso in esame rappresenta comunque una importante fetta dei Paesi a maggiore tasso di industrializzazione e i dati non mentono, il nostro è il luogo più rischioso per chi si sposta su due ruote. Lo studio è stato condotto sulle seguenti nazioni, in ordine alfabetico: Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Olanda, Norvegia, Svezia, Svizzera, Regno Unito e USA, calcolando il numero di decessi per miliardo di chilometri percorsi in totale e i risultati li potete vedere nel grafico presente nel post. La rappresentazione grafica delle statistiche è ancora più impressionante, notate come spiccano Italia e USA. L’Italia è prima, con 51 morti per miliardo di chilometri, seguita dagli Stati Uniti d’America con 49. Come se il dato non fosse già impressionante di per sé, si aggiunge il notevole distacco rispetto al terzo posto, che è occupato dalla Francia con 28 morti. Volendolo dire in altro modo, da noi muoiono quasi il doppio dei ciclisti rispetto al terzo Paese della graduatoria. Sono cifre spaventose che però, ammettiamolo, non giungono certo come un fulmine a ciel sereno: non solo leggiamo molto spesso sui quotidiani di tragici incidenti, alle volte accaduti anche ad alcuni sportivi di gran livello agonistico, ma siamo completamente immersi in una cultura che per molti versi è ancora anti-ciclismo. Una cultura che abbraccia ogni strato e livello del Paese: si parte dal basso, dal comune cittadino che detesta i ciclisti per motivi spesso assurdi e campati in aria, fino ad arrivare in alto, ai legislatori e ai pianificatori, che hanno creato e proteggono delle città concepite a misura d’automobile. Venti chilometri orari in meno fanno una differenza enorme, troppo grande per essere ignorata. Le cause risalgono a molto tempo fa, all’industrializzazione e al peso sociopolitico che ha avuto la Fiat in Italia: non è un caso che a tenere compagnia al nostro Paese lassù in classifica ci sia un’altra nazione completamente strutturata sulle quattro ruote, nella quale alcune industrie manifatturiere hanno giocato ruoli importanti a livello di sviluppo, ovvero gli USA. Resta il fatto che in Italia muoiono circa 200-250 ciclisti all’anno e che occorre trovare una soluzione al problema o, ancor meglio, più soluzioni. Da un lato c’è un Disegno di Legge per la Riforma del Codice della Strada che è ormai bloccato da circa quattro anni, dall’altro canto occorre un lavoro culturale, di educazione delle nuove generazioni e di sensibilizzazione generale. Problemi complessi che richiedono soluzioni stratificate e meditate, cercando di tenere d’occhio quel che ha funzionato in altri luoghi, a partire da una riduzione della velocità. Anche in questo caso i dati sono chiarissimi e le cifre non mentono: date un’occhiata al secondo grafico che alleghiamo a questo post, preso da Nuova Mobilità, e capirete che grande cambiamento possa apportare un abbassamento del limite di velocità.