In USA i numeri degli ultimi studi su ciclismo e sicurezza sono senza dubbio allarmanti. Secondo la Governors Highway Safety Association, il numero di ciclisti uccisi in incidenti con veicoli a motore è salito del 16% tra il 2010 e il 2012.

Questo è un dato di per sé allarmante, ma grazie a un’analisi più approfondita fatta da siti come Streetsblog emerge una realtà ben diversa.

Secondo i dati di mortalità pubblicati dal dipartimento dei trasporti statunitense, il rischio di mortalità oggi è di gran lunga inferiore rispetto a qualsiasi periodo degli ultimi tre anni. Ciò è giustificato dal notevole aumento del numero di pendolari che ricorrono alla bici come mezzo di trasporto.

Investimenti in infrastrutture e innovazione hanno reso, in poco tempo, il ciclismo più attraente per molti americani, riducendo il rischio relativo di ogni uscita a dispetto dell’incremento del numero assoluto di morti.

In sintesi: gli incidenti sono aumentanti, ma il numero di ciclisti è aumentato molto di più.

I numeri della sicurezza in bici negli USA tra il 1977 e il 2009

Caso chiuso? Non esattamente.

Un’altra parte dell’indagine è leggermente più preoccupante e non è solo un gioco di numeri. Lo stesso studio del Governors Highway Safety Association rivela che l’88% delle vittime degli incidenti mortali in bici nel 2012 erano uomini, e ancora peggio il 28% di tutte le vittime aveva un tasso alcolemico superiore allo 0,08%.

La “bro culture” sta minacciando la vita dei ciclisti?

Il primo punto sul quale si vuole fare chiarezza è il seguente: il comportamento dei ciclisti nei casi di incidenti con veicoli a motore non è quasi mai la causa dell’incidente. La realtà odierna è ancora quella di scontri tra automobilisti e ciclisti in cui, per ovvie ragioni, a rimetterci sono questi ultimi.

Una delle alternative prese in considerazione per ridurre le fatalità è quella di rallentare la velocità di circolazione in città come ha fatto il sindaco di New York abbassando il limite a 25 mp/h (40 km/h).

Raggiungere una “vision zero” esente da rischi mortali significa costruire delle infrastrutture tali da consentire la fruizione dei mezzi pubblici abbinata all’uso della bici.

Un grafico sugli incidenti mortali in bicicletta nella città di New York

Un altro lato della medaglia riguarda quello che i ciclisti potrebbero fare per tutelare la propria salvaguardia. I sostenitori del ciclismo a volte sono propensi a evitare questi argomenti, in particolare per quanto riguarda le leggi sull’uso del casco.

Quando la Governors Highway Safety Association dice che la mancanza di uso del casco è un fattore importante per quel che riguarda gli incidenti mortali, vuole spronare la creazione di regolamenti in tal senso orientando l’onere della sicurezza stradale sui ciclisti.

Questo può essere parzialmente vero: il casco può limitare la mortalità negli incidenti stradali, ma sicuramente non può evitarli.

Si torna quindi all’argomento centrale di questa indagine: ciclisti ed alcol.

Considerando che i dati rilevati dimostrano che negli incidenti stradali un ciclista su quattro è stato trovato con un tasso alcolemico compromettente, allora si può dire che siamo dinnanzi ad un problema culturale che deve essere affrontato in un’ottica a 360 gradi.

I ciclisti sono anche automobilisti (specialmente in città grazie a servizi come il car-sharing) quindi vivono entrambe le realtà prese in considerazione e potrebbero trovarsi in stato di ebbrezza sia nell’una che nell’altra. Quindi il problema non riguarda tanto il ciclista ubriaco, ma la persona ubriaca che come ben sappiamo non deve assolutamente guidare in una condizione simile sia che si tratti di auto, sia che si tratti di bici.

La situazione in America è questa, ma in Italia? Come siamo messi in Italia?

A me sembra che una cultura istituzionale della bici ancora non sia né ben definita e né radicata. Fare addirittura delle analisi statistiche su comportamenti sbagliati dovuti a problemi culturali penso sia un po’ prematuro.

Sicuramente i problemi legati all’alcol ci sono, mi vengono in mente alcuni episodi con qualche amico… però prima di preoccuparci dei ciclisti sbronzi, inizierei a concentrarmi sui ciclisti in generale iniziando, per esempio, dalle infrastrutture.

Voi cosa ne pensate? Io intanto vado a bermi una birra. A piedi.

A proposito dell'autore

Appassionato da sempre a tutto ciò che ha due ruote, ha trovato in Diplomato come ragioniere e perito commerciale amministrativo, adesso è iscritto alla facoltà di economia presso l’Università degli Studi Milano-Bicocca. Trova nella mountainbike lo sfogo perfetto per “staccare” dagli impegni e stare a contatto con la natura.