Robin Williams, l’acciaio e un futuro radioso

Arrivo da Upcycle in anticipo, ma non so perché mi sento trafelato. Devo intervistare Dario Pegoretti, come restare calmi? Questo qui ha fatto biciclette su cui hanno pedalato Indurain, Roche, Pantani e persino Robin Williams, del quale di lì a poco mi dirà con un filo di voce e un po’ di commozione: “gli piacevano le mie bici… forse avevamo delle affinità”.

Come fare le domande giuste? Come non annoiarlo, come non chiedergli le solite cose?
Mentre ci penso, lego la bici e mi sfilo il casco, mi dicono che Dario sta dormendo.
Come dormendo? Già mi è simpatico.

Gli sono bastate una manciata d’ore in giro per Milano e tutto quel casino l’ha messo kappaò. Lui che vive in mezzo ai monti e ai boschi trentini, a Caldonazzo, lui che l’aria ce l’ha così pulita che può persino sentire l’odore dell’acciaio.

Un odore che, dice, cambia a seconda delle stagioni. D’inverno ha un profumo, d’estate un altro. Se lo tratti con la fiamma ossidrica, cambia ancora.

Ma, attenzione: qualcuno lassù si muove, c’è del trambusto. Dario si finalmente è svegliato.
Scende la scala, mi stringe la mano con vigore. Si avvicina sinceramente curioso: come dite? Cosa è bicilive?
Glielo spieghiamo. Ascolta attento.

Si accende una sigaretta, si ordina una birra. Possiamo iniziare.
Intervista a Dario Pegoretti

I dubbi e il timore reverenziale che avevo solo cinque minuti prima, lasciano il posto a uno strano senso di intimità: Dario è uno di noi.

Lo capisco subito, dai suoi occhi vispi e caldi. È uno che nella bici è rimasto, nonostante il successo planetario, rigorosamente al di qua. Dalla parte cioè di chi fatica e di chi magari – la sala ne è gremita- sogna una bottega da telaista artigiano come la sua.

Davanti a lui, i suoi discepoli: li chiama uno a uno rigorosamente per nome, con affetto estremo. Son figli suoi, gente che ha scelto di sporcarsi ancora le mani con la bici. E con lui. Come bimbi innamorati del loro maestro.

Dario Pegoretti: carbonio, titanio, grammomania? Macché

Lui dice che il peso conta niente in un telaio. Quello che conta è la qualità. E quella ce l’ha solo l’acciaio: l’acciaio non morirà mai.
Già ma cosa è la qualità? Quando gli fanno notare che la qualità di un telaio forse potrebbe dipendere anche da chi lo guida, lui ride. E risponde sicuro: mai! La qualità non si spiega, si tocca con mano.

La mano, quell’arto con cui facciamo ogni cosa e che noi italiani – non tutti – sembriamo aver dimenticato. All’estro quando dici Pegoretti, puoi vedergli brillare gli occhi. Qui no.

In sala c’è De Rosa, altro grande telaista italiano. Dario lo chiama in causa più volte, come un vecchio compagno di ragazzate. Quasi solo loro due potessero capirsi davvero. Quasi solo loro due fossero gli ultimi depositari di un antico sapere jedy.
O forse no. Forse ci sono ancora dei predestinati.

Questa la domanda con cui esco e mi rimetto a pedalare nella notte per Milano.

Ecco il video:

A proposito dell'autore

Classe '72, scrittore, giornalista, blogger: le sue "Confessioni di un ciclista pericoloso" sono uno dei blog più letti dai ciclisti milanesi. È stato direttore editoriale di Bike Channel, il primo canale dedicato al ciclismo in onda su Sky ed è autore di 2 libri: "Il carattere del ciclista" (Utet 2016, in uscita nel 2017 anche in Olanda) e "Ma chi te lo fa fare – Sogni e avventure di un ciclista sempre in salita" (Fabbri 2014). Socio di UpCyle, il primo bike cafè restaurant d’Italia, soffre di una dipendenza conclamata per le salite alpine sopra i 2000 metri.