L’elettrico è senza dubbio la via più percorribile nell’immediato per cominciare ad avviare una transizione ecologica che sia in grado di portare l’impatto ambientale su di un percorso più virtuoso e sostenibile di quello attuale.

Tuttavia questo tipo di conversione porta con sé non poche problematiche che meritano di essere analizzate e affrontate con il giusto tempismo per far sì che quello che a tutti gli effetti si sta presentando come uno scenario positivo non diventi in breve tempo un incubo da cui cercare di uscire.

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È indubbio che i veicoli che utilizzano propulsori alimentati dall’energia elettrica abbiano delle emissioni del tutto trascurabili rispetto ai più classici endotermici. Però, la produzione di questi, lo smaltimento delle loro parti e l’approvvigionamento dell’energia necessaria a caricare le batterie ha un impatto tutt’altro che trascurabile, in alcuni passaggi addirittura preoccupante.

In questo momento storico pervaso sì dalla preoccupazione verso il futuro ma anche da un cauto ottimismo, sembra che la comunicazione globale stia spingendo la mobilità verso un futuro elettrico, tematica senza dubbio utile forse talvolta trasmessa con superficialità e un pizzico di malizia al consumatore finale. Perché, a voler far bene i conti, tutti questi veicoli elettrici devono essere ricaricati per poter circolare, ma questa energia come viene prodotta?

Il dato degli ultimi due anni è tanto impietoso quanto chiaro: nel Bel Paese meno della metà dell’energia consumata deriva da fonti rinnovabili. Nel 2019 le fonti rinnovabili si attestavano sul 41,74% avendo quasi raggiunto il gas naturale che è stato al primo posto per anni, mentre nel 2020 le fonti rinnovabili hanno raggiunto il 45,04% e sono ora al primo posto (dati GSE). Il trend è positivo e lascia ben sperare ma, ad oggi, metà dei veicoli elettrici va a combustibile fossile.

Nel corso degli anni la crescita è stata sensibile e costante ma sembra incontrare sempre più resistenze man mano che sale in percentuale, evidenziando un attrito composto probabilmente da interessi economici contrari e dalla complessità di realizzazione di impianti in grado di far fronte alla richiesta di energia.

Se la prima problematica è moralmente più attaccabile ma praticamente meno rilevante in quanto fortunatamente economia e investimenti sono soliti adattarsi all’epoca storica in cui si trovano, la seconda presenta qualche criticità in più, tra cui soprattutto la complessità normativa in cui gli investitori si devono muovere e la domanda esponenziale di elettricità che si sta creando.

Per descrivere la problematica dal punto di vista pratico possiamo prendere in considerazione uno studio del Politecnico di Milano che ha valutato il consumo medio annuo di un’auto (11.000 km) intorno ai 1760 kWh, dove il consumo medio di una famiglia italiana all’anno è di 2700 kWh.

Oggi ci sono circa 10 milioni di auto elettriche nel mondo contro circa 1 miliardo e mezzo di auto tradizionali: questi due dati interpolati tra loro dovrebbero fornire un’idea di quanto grande possa diventare la richiesta di energia elettrica solo legata alle autovetture, figuriamoci includendo tutto il resto.

Entro il 2030 si prevede che le auto elettriche nel mondo saranno circa 145 milioni di cui 5 in Italia, che si traduce nella richiesta di 8,4 TWh (Tera Watt Ora) in più sul nostro territorio. Se pensiamo che ad oggi 4,2 TWh sarebbero prodotti bruciando combustibili fossili è chiaro come in realtà il problema non sarebbe risolto ma solo spostato più a monte.

8,4 TWh è un numero abbastanza impressionante, in realtà rappresenta solo il 2,5% dell’energia totale presente in rete. Il problema è legato alla potenza che siamo in grado di generare: ora la nostra rete non sarebbe in grado di reggere la domanda che sarà presente tra 10 anni. Stando ai dati raccolti dal Politecnico oggi siamo sotto del 33% rispetto a questo scenario. Per intenderci, se oggi in un quartiere fossero messe 50 auto in ricarica la corrente salterebbe, se ne collegassimo 200.000 su scala nazionale… saremmo tutti al buio.

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In questo la bike industry potrebbe giocare un ruolo cruciale nello snellire la domanda di energia elettrica cercando di promuovere nel modo corretto la mobilità sostenibile e farsi promotrice di attività volte a sensibilizzare il consumatore finale, non solo a utilizzare l’ebike negli spostamenti a corto/medio raggio.

Fare una comunicazione seria e coerente verso il consumatore potrebbe abbattere anche le emissioni in fase di produzione. Oggi non viene particolarmente trattato il tema di quanto inquini produrre un’auto elettrica, ci hanno pensato il Cambridge Center for Enviorment, l’Energy and Natural Resource Governance del MIT e l’università dell’Exeter del Regno Unito: il risultato si attesta in un dato compreso tra il 30% e il 40% in più rispetto alla produzione di un’auto tradizionale.

Naturalmente questo sarebbe ammortizzato dal 70% di emissioni in meno durante l’utilizzo (ammesso che le fonti usate siano rinnovabili), discorso ovviamente non fattibile per le auto ibride.

Questo discorso vale sicuramente anche per le ebike: inutile nascondersi dietro a un dito, le bici elettriche non sono ecologiche come lo è una bicicletta muscolare, però lo sono sicuramente più di un’auto elettrica.

Queste a mio avviso sono tutte tematiche estremamente sensibili di cui il comparto dovrebbe farsi carico in modo coerente per creare una maggior trasparenza con il consumatore e un miglior business nel prossimo futuro. Il circolo virtuoso potrebbe essere non solo interno al settore, ma portarsi oltre la semplice mobilità. Uno dei temi principali per la sostenibilità è senza dubbio la decentralizzazione, ovvero la possibilità di persone e aziende di essere autonome dal punto di vista energetico, con evidenti benefici economici e sulla riduzione dell’impatto.

Il tema della decentralizzazione è importante, basti pensare che tra il 2010 e il 2011 furono installati 10.000 MW di potenza fotovoltaica nonostante i pannelli costassero il doppio di oggi. Dopo gli incentivi di quegli anni, per installare altri 10.000 MW ci abbiamo messo 10 anni, nonostante i costi inferiori dei pannelli. Non dico che la soluzione sia in slogan tipo “ricarica la tua ebike con il tuo pannello” che tuttavia sarebbe più serio dello slogan che spesso si sente “L’ebike è 100% ecologica”, ma la bike industry potrebbe farsi portavoce di operazioni serie di sensibilizzazione del cittadino e di dialogo con le istituzioni per essere parte determinante di un processo di cambiamento necessario.

La bici sta vivendo un’esplosione paragonabile a quella delle auto negli anni 60 ma, a differenza di quel periodo, oggi abbiamo gli strumenti di analisi utili a fare previsioni realistiche per gestire le problematiche future in modo efficace.

La partita è complessa e il nostro settore può, forse per la prima volta, contribuire a far inclinare il piano degli eventi dal lato corretto.

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