Andare al lavoro in bici, in un mondo ideale, diventerebbe una routine del mio modo d’intendere il ciclismo: vestito di abiti comodi, nutrito di una colazione abbondante, baciati i familiari, sulla bici fuori dal garage. Poi la guerra.

È una pedalata su strada, quindi è una guerra di strada.

Automobili, autobus, camion tutti in lotta per uno spazio vitale, in quella finestra di tempo per arrivare al lavoro che ci infonde ansia e fretta. Devo dire che alcuni giorni sembrano migliori di altri. L’orario di partenza è abbastanza tranquillo e il mio piano di battaglia comprende anche cenni con la mano, sorridendo e con un pollice alzato per chi è gentile abbastanza da non cercare di uccidermi.

Funziona, credetemi.

Si viene riconosciuti come una persona, non solo come un fastidio. Il problema è che come si confluisce sulle arterie più trafficate della città, c’è sempre l’inaspettato pendolare frustrato in auto, quello che vede ancora in te una “tassa di circolazione non pagata” o semplicemente non ti vede del tutto.

Ho avuto momenti difficili con entrambi. Un giorno particolarmente infestato mi ha portato a casa con un paio di brutti casi di aggressione non andata a buon fine. Ci deve essere un modo migliore per (soprav)vivere alla giungla d’asfalto.

La foto di una New York da cinema

Un attimo di riflessione mi ha portato alla perfetta soluzione:

Stessa routine di ogni mattino, anche se, la mano non s’impadronisce della leggera bici da corsa dall’esile gommatura, ma di una mountainbike dalle corpose ruote artigliate. Solo lo stretto necessario sulle strade più ampie e veloci, e poi per le viuzze misconosciute della nostra città, ormai dimenticate anche dai pedoni.

È stato assolutamente fantastico, scoprire e riscoprire angoli suggestivi, come occultati dalla densa nebbia della frenesia. Ti permette di arrivare al lavoro su un altro piano spirituale. Il viaggio di ritorno ha presentato una nuova serie di sfide in senso inverso.

Perché non l’avevo fatto prima?

Ero caduto nella trappola del traffico automobilistico dei pendolari, diventando cieco di fronte alla possibilità di alternative. Per troppo tempo avevo inseguito il ​​percorso più veloce possibile per il lavoro, attraverso stretti pneumatici, trascurando il valore intrinseco del viaggio.

Non posso dirvi quanto tempo ci voglia per andare al lavoro in questo modo perché non mi sono mai preso la briga di misurarlo. La qualità dell’esperienza è migliorata notevolmente.

Quando devo andare via per lavorare l’effetto è evidente. C’è meno urgenza nei miei pedali. Rimango calmo. Ho più simpatia per chi è abbastanza sfortunato da essere intrappolato e turbato dai capricci del tempo.

Domani scivolerò di nuovo incorporeo tra le strade asfaltate che nascondono questi piaceri invisibili e mediterò sul pensiero che i punti essenziali di un viaggio rimangono irrilevanti alle auto.

Articolo realizzato per BiciLive.it da Cristiano Guarco.

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